Il futuro dell’intelligenza artificiale, secondo l’uomo che l’ha inventata (Esquire – Andrea Signorelli)

Yann LeCun, uno dei padri del deep learning, racconta storia, ostacoli e prospettive della tecnologia che ha cambiato il mondo.

“Vorrei fornire alle macchine una qualche forma di buon senso, visto che oggi sono veramente stupide”. A denigrare le abilità dell’intelligenza artificiale non è una persona qualunque. Anzi, potremmo definirla il suo genitore: Yann LeCun è infatti uno dei tre inventori del deep learning (insieme a Geoff Hinton e Yoshua Bengio, tutti premiati nel 2019 con il Turing Award). Docente alla New York University, Yann LeCun è anche chief scientist di FAIR (Facebook Artificial Intelligence Research), la divisione del social network dedicata alla ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale.

Non dovrebbe sorprendere che anche il suo inventore consideri stupida l’intelligenza artificiale. Nonostante gli straordinari risultati ottenuti (tra cui l’emblematica vittoria contro il campione mondiale di Go), come altro definireste una macchina che ha bisogno di visualizzare centinaia di migliaia di gatti per imparare a riconoscerne uno, quando a un bambino di quattro anni basta vederne un paio? Il punto, allora, è capire come le AI possano fare il prossimo passo sulla scala evolutiva.

Ed è proprio ciò su cui Yann LeCun sta lavorando: “Anche se in alcune aree è capace di performance superumane, l’apprendimento supervisionato (il metodo usato oggi per addestrare la maggior parte degli algoritmi di deep learning, nda) ha dei limiti: bisogna usare un sacco di dati, bisogna indicare alla macchina quando sta sbagliando e ci saranno comunque dei punti ciechi che la porteranno a commettere degli errori”, racconta lo scienziato francese a Esquire, durante un incontro a Parigi organizzato da Facebook. “Geoff, Yoshua ed io siamo sempre stati interessati all’idea di un apprendimento che consentisse alla macchina di imparare da sola come funziona il mondo, lasciando che sia lei a scoprire le varie strutture”.

È l’apprendimento non supervisionato, in cui si danno in pasto alla macchina migliaia di foto o di video e si lascia che sia lei, da sola, a dare un senso a ciò che analizza, senza la guida dell’uomo. Per Yann LeCun, è questa la versione algoritmica di ciò che definiamo buon senso: una delle caratteristiche più importanti dell’essere umano, che gli consente di individuare la soluzione a problemi mai affrontati prima sfruttando le esperienze pregresse.

“Gli uomini imparano moltissimo attraverso la semplice osservazione, senza indicazioni”

“Gli uomini, ma anche gli animali, imparano moltissimo attraverso la semplice osservazione, senza alcuna indicazione e accumulando un’enorme mole di conoscenza già da bambini o da cuccioli. Ci piacerebbe riprodurre tutto questo anche nelle macchine, mostrando loro un’infinità di video di YouTube senza fornire nessuna indicazione e supervisione, nella speranza che diventino capaci di riconoscere, per esempio, un elefante al primo colpo o quasi”, prosegue LeCun. “Al momento, l’incapacità delle macchine di imparare senza una supervisione è il più grande limite del deep learning”.

Il modo in cui oggi gli algoritmi apprendono, infatti, ha ben poco a che fare con l’intelligenza. Per insegnare a riconoscere un gatto, è necessario mostrare loro centinaia di migliaia di immagini di gatti, segnalando ogni volta se hanno indovinato o sbagliato a individuarli. Dopo un lunghissimo addestramento a base di tentativi ed errori, l’algoritmo impara finalmente a distinguere un gatto; ma se volessimo insegnare loro a riconoscere una lince dovremmo ricominciare da capo.

Proprio questo è uno degli ostacoli principali all’evoluzione dell’intelligenza artificiale: è in grado di svolgere un solo compito per volta e non è in alcun modo dotata della capacità di astrazione e generalizzazione. Un limite che, secondo esperti come Gary Marcus, pone una seria ipoteca sul futuro del deep learning e sulla possibilità di utilizzarlo per raggiungere un’intelligenza artificiale di tipo umano (AGI, artificial general intelligence).

Una critica che Yann LeCun rifiuta integralmente: “Sono disposto a scommettere: il deep learning è qui per restare. Sarà ancora lo strumento che utilizzeremo tra 10 o 20 anni e sarà parte integrante delle prossime evoluzioni”. A questo punto, la domanda è d’obbligo: sarà il deep learning che ci farà raggiungere l’intelligenza artificiale di tipo umano? E tra quanto potrebbe avvenire? “Sono convinto che sarà parte della soluzione, anche se ovviamente ci saranno nuovi paradigmi di apprendimento. Stiamo lavorando proprio a questo, ma non possiamo dire quanto tempo ci vorrà. Molto dipende dalle svolte che si compiono grazie ad alcune improvvise scoperte, che non possiamo predire se e quando avverranno”.

“La tecnologia è neutra: tutto dipende dall’uso che se ne fa”

Per il momento, però, le intelligenze artificiali sono alle prese con problemi molto più concreti. Il deep learning, tra le tante cose, ha infatti reso possibile le tecnologie di riconoscimento facciale che alimentano i timori di una sorveglianza di massa, e che proprio per questo sono state messe al bando da città come San Francisco: “Penso che sia stata una buona decisione. Se vogliamo un esempio di cosa non dobbiamo fare, basta guardare alla Cina, che ha diffuso il riconoscimento facciale in maniera selvaggia, ovunque”, spiega Yann LeCun. “Le mie invenzioni non vengono però usate solo per spiare la gente, ma anche per identificare i tumori nelle risonanze magnetiche, per le auto a guida autonoma, per la speech recognition (che converte gli audio in forma scritta, nda) e per molte altre cose utili. La tecnologia è sempre stata neutra: tutto dipende dall’uso che se ne fa”.

Per Facebook, invece, uno dei problemi più pressanti in materia di intelligenza artificiale è come rendere gli algoritmi in grado di riconoscere le fake news, eliminare i discorsi d’odio e rimuovere istantaneamente i video postati dagli attentatori (com’è avvenuto nel caso dell’attentato di Christchurch): “È un problema molto complesso”, ammette LeCun. “Non abbiamo ancora la tecnologia perfetta per farlo. Immaginiamo di voler insegnare a una macchina a riconoscere dei video violenti o in cui un attentatore spara a delle persone: fortunatamente non abbiamo così tanti esempi di questo tipo, quindi ci mancano i dati. Alcuni suggeriscono di usare gli action movies, ma in realtà questo complicherebbe la situazione: come insegni a una macchina a distinguere una scena vera da un film? Ci vorranno ancora anni prima di avere sistemi che funzionano così bene”.

Il solo fatto che oggi l’intelligenza artificiale basata su deep learning sia alle prese con problemi di questa importanza, mostra quanta strada è stata fatta rispetto ai tempi del cosiddetto inverno della AI, che Yann LeCun ha attraversato per intero: “Abbiamo affrontato diverse fasi. Nei primi anni ’80, quando ero un giovane studente e volevo lavorare sui network neurali e il machine learning, non c’era nessuno in Francia che si occupasse di questo genere di cose. Tutto il campo era stato abbandonato. Alla fine sono riuscito a lavorare con Geoff Hinton all’università di Montreal. Eravamo dei rinnegati del mondo accademico, ma poi, tra il 1988 e il 1995, il tema dei network neurali ha ripreso quota e abbiamo vissuto un bel periodo, facendo anche ricerca agli storici Dell Labs e inventando tecniche che oggi sono di enorme successo”.

Le basi del fenomeno intelligenza artificiale vengono poste allora, ma prima che l’importanza del machine learning venga riconosciuta bisognerà aspettare ancora parecchio: “L’intera comunità ha iniziato a perdere nuovamente interesse attorno alla metà degli anni ’90: c’è stato un periodo molto oscuro, diciamo tra il 1995 e il 2007. Per alcuni anni anche io mi sono dedicato ad altro. Poi nel 2002 ho ripreso il mio lavoro e ho iniziato a insegnare alla New York University, ma i network neurali erano un tema molto controverso e marginale. È in quel periodo che Geoff, Yoshua e io abbiamo dato vita alla cospirazione del deep learning, organizzando workshop e corsi estivi praticamente all’insaputa di tutti. A un certo punto abbiamo iniziato a ottenere dei risultati veramente buoni: nella speech recognition attorno al 2010, nella image recognition attorno al 2013 e nell’elaborazione del linguaggio naturale attorno al 2015 o 2016. È stata una rivoluzione: da un giorno all’altro tutti volevano usare i network neurali e il deep learning”.

“La scienza deve essere circondata da persone scettiche, che mettono in dubbio tutto”

Un successo avvenuto dopo decenni trascorsi da emarginati della comunità scientifico-informatica, ma che oggi ha reso Yann LeCun, Geoff Hinton e Yoshua Bengio tra gli scienziati più ricercati (e pagati) al mondo, con posizioni cruciali in realtà come Facebook e Google. Da questo punto di vista, il Turing Award rappresenta un po’ la vostra vendetta? “Non è una vendetta perché non siamo tipi vendicativi. È così che gli scienziati devono lavorare, giusto? La scienza deve essere circondata da persone scettiche, che mettono in dubbio tutto. Nel nostro caso, di scetticismo ce n’è stato forse fin troppo, ma non c’è ragione di essere arrabbiati”.

Anche perché il tempo ha reso giustizia a quest’uomo di 59 anni, che indossa occhiali dalla montatura spessa e il cui aspetto non è troppo dissimile dal nerd dell’immaginario collettivo, ma che con le sue invenzioni ha letteralmente cambiato il mondo. E che ha reso possibile la stessa esistenza di Facebook come lo conosciamo oggi: “Mi sono unito a Facebook sei anni fa e ho creato il FAIR, voluto da Zuckerberg anche per fare ricerca di lungo termine. Il risultato è che oggi questo social network usa tantissima intelligenza artificiale, per filtrare i contenuti inappropriati, riconoscere cos’è presente in un’immagine, descrivere il loro contenuto ai non vedenti, scegliere cosa mostrare agli utenti in base alle loro preferenze. Senza il deep learning, Facebook smetterebbe praticamente di funzionare”.

D’altra parte, oggi viviamo in un mondo in cui l’intelligenza artificiale è un elemento essenziale, nel bene e nel male. Tra assistenti virtuali, applicazioni nel campo della medicina e della psichiatria, algoritmi che ci aiutano a trovare l’anima gemella così come il film, il libro o il disco più adatto a noi; fino ad arrivare ai tentativi, non sempre riusciti, di sfruttare la AI per trovare il candidato più adatto a un posto di lavoro, scegliere a chi erogare un mutuo e addirittura prevedere i crimini: il deep learning è tutto intorno a noi.

Tra la miriade di applicazioni, però, ce n’è una che ha colpito Yann LeCun più delle altre. Una che ha a che fare con un mondo ricco di ambiguità, doppi sensi e differenze culturali: il linguaggio. È solo grazie al deep learning che la traduzione automatica da una lingua all’altra è riuscita a fare passi da gigante e diventare affidabile, laddove, fino a pochi anni fa, era praticamente inutilizzabile. “È stato un traguardo reso possibile dalle idee sviluppate attorno al 2014 da Kyunghyun Cho, un giovane ricercatore che lavorava all’università di Montreal insieme a Yoshua Bengio e che oggi è con me a FAIR. La tecnica da lui inventata ha aperto gli occhi a un sacco di persone, e all’improvviso tutti i grandi player volevano utilizzarla: Microsoft, Facebook, Google…”

Osservare un’intelligenza artificiale – come quella utilizzata da Facebook o da Google Translate – tradurre interi paragrafi con un’accuratezza fino a poco fa impensabile è qualcosa che ancora oggi stupisce. Ed è forse anche per questo che, chiedendogli se abbia avuto qualche delusione dalla AI, LeCun replica: “In verità, sono più sorpreso dal fatto che le cose funzionino così bene. Certo, continuo a chiedermi come facciano gli uomini e gli animali a imparare così rapidamente e ad acquisire il loro buon senso. Ma non parlerei di delusione, perché sono proprio i temi su cui sto lavorando. Non sappiamo ancora come fare tutto ciò con le macchine, ma sono entusiasta di avere la possibilità di scoprire che cosa sia l’intelligenza e l’apprendimento”.

Se un domani ci troveremo di fronte a macchine dotate di un’intelligenza indistinguibile dalla nostra, sarà probabilmente perché Yann LeCun avrà trovato risposta alle domande che proprio oggi si sta ponendo.


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